Čajkovskij

Daniel Oren, direttore

Rémi Geniet, pianoforte

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Sabato
    07 Gennaio 2023

    Ore

    17,30

    Durata

    95min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Giorno

    Domenica
    08 Gennaio 2023

    Ore

    21,00

    Durata

    95min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Programma

  • Pëtr Il'ič Čajkovskij
    Votkinsk, 1840 - San Pietroburgo, 1893

    Concerto n. 1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op.23

    Allegro non troppo e molto maestoso, Allegro con spirito

    Andantino semplice, Prestissimo, Tempo I

    Finale (Allegro con fuoco)

     

    Nel dicembre 1874 ho scritto un concerto per pianoforte. Dato che non sono un pianista, avevo bisogno di rivolgermi a un virtuoso, uno specialista, che mi indicasse, relativamente alla tecnica, ciò che fosse faticoso, di difficile esecuzione, privo di effetto e così via. Mi serviva un critico severo, ma allo stesso tempo, ben disposto nei miei confronti... Devo dire chiaramente che una voce interiore protestava contro la scelta di Rubinštejn come giudice dell’aspetto tecnico della mia composizione. Sapevo che non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per comportarsi in modo dispotico. Ciò nonostante, egli non solo è il primo pianista moscovita, ma è certamente un pianista superiore. Così, sapendo in anticipo che si sarebbe profondamente offeso se fosse venuto a sapere che l’avevo scavalcato, l’ho invitato ad ascoltare il concerto e a fare delle osservazioni a proposito della parte pianistica. Era la vigilia di Natale del 1874. Quella sera eravamo entrambi invitati alla festa di Albrecht; Rubinštejn ha proposto di provare in una delle classi del Conservatorio prima della festa. Così abbiamo fatto. Mi sono presentato con il mio manoscritto e dopo di me Rubinštejn  con Hubert. Ho suonato il primo movimento. Neanche una parola, non un solo commento! Quanto è stupida e insopportabile la posizione di una persona che presenta a un suo amico un piatto di sua preparazione, e quello lo mangia e tace! Almeno qualcosa, anche una stroncatura amichevole, per l’amor di Dio, anche una sola parola di simpatia, seppure non d’elogio! Rubinštejn  affilava gli artigli e Hubert aspettava che si chiarisse la situazione per schierarsi da questa o quella parte. […] Il silenzio eloquente di Rubinštejn era gravido di significati. Armatomi di pazienza, l’ho suonato fino alla fine. Ancora silenzio. Mi sono alzato e ho chiesto: «Ebbene?». Allora dalle labbra di Rubinštejn è sgorgato un torrente di parole, dapprima tranquille, poi sempre più simili a un profluvio di Giove tonante. Pareva che il mio concerto non valesse niente, che suonarlo non fosse possibile, che i passaggi fossero banali, irrimediabilmente goffi, che la composizione stessa fosse pessima e volgare, che io avessi rubato di qua e di là e che ci fossero solo due o tre pagine da poter tenere, mentre il resto bisognava gettarlo via oppure rifarlo completamente. “Ecco, per esempio, questo che cosa è? (e di quel passaggio faceva la caricatura). E questo? Come può essere possibile!”». E così via. […] Non ero solo attonito, ma anche offeso da tutta questa scena. Sono uscito tacendo dalla stanza e sono andato di sopra. Non potevo parlare dall’agitazione e dalla collera. Ben presto è apparso Rubinštejn e, accortosi del mio turbamento, mi ha chiamato in una delle stanze più lontane. Là mi ha ripetuto nuovamente che il mio concerto è impossibile e, avendomi indicato molti punti in cui erano necessari cambiamenti radicali, mi ha detto che se entro un certo periodo lo avessi rivisto secondo i suoi desideri, allora mi avrebbe fatto l’onore di eseguirlo nel suo concerto. Non ne rivedrò neppure una nota, — gli ho risposto — e lo pubblicherò così com’è! E così ho fatto”.

    In questa lettera, indirizzata nel 1878 alla sua protettrice la contessa Von Meck, Čajkovskij ricordava, con un certo disappunto per nulla sopito dai tre anni trascorsi, la prima fredda accoglienza ottenuta dal suo Primo concerto per pianoforte e orchestra. Čajkovskij, incurante delle critiche di Rubinštejn , che non gli fece l’onore di eseguire per la prima volta il Concerto, portò a termine l’orchestrazione dell’opera nel mese di febbraio del 1875 senza toccare nulla del suo impianto generale e lasciando inalterati quei passaggi che erano stati criticati. L’opera, tuttavia, trovò un degno interprete nel grande e famosissimo pianista e direttore d’orchestra Hans von Bülow, al quale il compositore russo dedicò la composizione, che fu eseguita per la prima volta a Boston il 25 ottobre 1875. Alla prima esecuzione il Concerto fu accolto da un grande successo di pubblico e, nonostante qualche perplessità espressa dalla critica, ottenne una straordinaria quanto immediata popolarità, che, alla stregua di una sorta di contrappasso, costrinse Rubinštejn a studiarlo e, quindi, ad eseguirlo diverse volte.

    Un perentorio attacco dei corni costituisce l’incipit della celeberrima sezione introduttiva (Allegro non troppo e molto maestoso), nella quale orchestra e solista si scambiano alternativamente i ruoli; così quando gli archi inizialmente espongono il celebre languido tema, il pianoforte accompagna con accordi, mentre quando il tema passa al solista, che si presenta al pubblico, peraltro, con una virtuosistica cadenza, l’orchestra assume il ruolo di accompagnatrice. L’esposizione del concerto inizia nella sezione marcata con l’andamento Allegro con spirito con un tema brillante, tratto da una canzone popolare ucraina, Il canto dei ciechi; ad esso si contrappone un secondo tema, languido, esposto inizialmente dai legni e dal solista che nel corso del movimento si esibisce in ben tre passi cadenzali. Il secondo movimento ha una struttura tripartita con una sezione iniziale, Andantino semplice nella quale il flauto espone inizialmente un tema dolce, ripreso immediatamente dal pianoforte, una sezione centrale, Prestissimo, introdotta dal pianoforte in modo virtuosistico, ma leggero, una ripresa del tema iniziale (Tempo I), della quale il protagonista indiscusso è il pianoforte. La tradizione popolare russa torna ad ispirare anche il terzo movimento, Allegro con fuoco, e, in particolar modo, il nervoso primo tema il cui inciso è magistralmente variato con tre impasti orchestrali diversi. A questo primo tema, così nervoso, si contrappone il secondo, lirico, affidato al dolce suono dei violini. Con la perorazione orchestrale di questo secondo tema si conclude il Concerto.

    Durata: 34'

    Pëtr Il'ič Čajkovskij
    Votkinsk, 1840 - San Pietroburgo, 1893

    Sinfonia n. 5 in mi minore op.64

    Andante, Allegro con anima

    Andante cantabile con alcuna licenza, Moderato con anima, Tempo I, Andante mosso, Allegro non troppo, Tempo I

    Valse (Allegro moderato)

    Finale (Andante maestoso, Allegro vivace, Molto vivace, Moderato assai e molto maestoso)

     

    Composta tra il 30 maggio e il 26 agosto 1888 a distanza di undici anni dalla Quarta, la Quinta sinfonia di Čajkovskij costituisce il secondo atto della cosiddetta trilogia del destino e si pone in relazione con la precedente che ne rappresenta il primo e con la Sesta, la celebre Patetica, che corrisponde a quello conclusivo, il terzo. Tema conduttore delle tre sinfonie è il destino che incombe spesso sulle vicende umane con esperienze drammatiche di cui fu protagonista, suo malgrado, lo stesso compositore quando si trovò a dover affrontare la grave crisi matrimoniale conclusasi con la separazione dalla giovane e innamoratissima moglie Antonina Ivanovna Miljakova, o quando fu sconvolto dal dolore per la morte, nel 1881, dell’amico fraterno Nikolaj Rubinštejn, al quale dedicò il celebre Trio con pianoforte in la minore, op. 50, o, infine, quando andò aggravandosi la sua crisi esistenziale. Nemmeno la sicurezza economica raggiunta grazie ad un vitalizio assegnatogli dallo zar era valsa a restituire serenità al suo animo. Čajkovskij, che aveva composto la Quarta sinfonia dopo la crisi matrimoniale, nella Quinta, espresse in una musica caratterizzata da accenti di sublime e commosso lirismo rispettivamente il dolore per la perdita dell’amico e il suo crescente disagio esistenziale.

    Dedicata a Theodor Avé-Lallemant, musicista influente molto vicino alla Società Filarmonica di Amburgo ed eseguita, con un’ottima accoglienza del pubblico, ma non della critica, sotto la direzione dell’autore per la prima volta a San Pietroburgo il 17 novembre 1888, la Sinfonia n. 5 segue un programma interiore, che il compositore negò ufficialmente di avere utilizzato, quando ne parlò con il Granduca Konstantin Konstantinovič. Ciò, tuttavia, appare in contrasto con quanto si può leggere in un'annotazione diaristica ritrovata in seguito tra gli abbozzi:

     

    “Programma del primo movimento: Introduzione. Intera sottomissione al Destino o, il che è lo stesso, agli imperscrutabili disegni della Provvidenza”.

     

    Non si conoscono le ragioni profonde che indussero Čajkovskij a non rendere esplicito il contenuto del programma che, in realtà, sembra contraddetto almeno in apparenza dalla musica e in particolar modo dal fatto che il tema iniziale, con il quale è rappresentato il Destino, inizialmente esposto in minore, si evolve positivamente nel Finale in maggiore. È molto probabile che Čajkovskij, al di là degli aspetti puramente extramusicali e contenutistici, abbia seguito un percorso musicale di tipo classicista.

    Il primo movimento, in forma-sonata, si apre con un Andante che realizza perfettamente le parole del programma grazie al celeberrimo tema del Destino, esposto dai clarinetti nel registro grave, la cui struttura mostra un’evidente origine russa soprattutto nel disegno discendente. L’atmosfera funerea di questo esordio sembra modificata nell’Allegro con anima, nel quale, secondo il programma già citato, il compositore cercò di rappresentare Mormorii, dubbi, lamenti, rimproveri contro XXX (nel testo sono indicate tre croci); ciò si realizza nella prima idea tematica dove il tema del destino è variato con disegni ascendenti che intendono mostrare una forma di reazione alla sua inesorabilità, ma una seconda idea tematica dolente, che ricorda lontanamente la seconda frase del tema dello Scherzo della Quinta di Beethoven, considerata anch’essa sinfonia del destino, riconduce l’ascoltatore alla situazione iniziale. Tutta l’esposizione di questo primo movimento si snoda dialetticamente attraverso il contrasto tra il destino e i timidi tentativi di opporsi ad esso che si materializzano in brevi episodi più gai. Questo contrasto trova la sua più compiuta espressione nello sviluppo dove si fronteggiano il motivo gaio, già esposto nella sezione Un pochettino più animato, e il primo tema.

    È possibile trovare la pace nella fede? Questo è l’interrogativo che il compositore si pone nel  secondo movimento Andante cantabile, con alcuna licenza, come si evince anche dalla nota diaristica in cui si legge: Devo gettarmi nella fede??? Un programma superbo, se solo fossi capace di realizzarlo. La grande libertà agogica e ritmica, che aveva contraddistinto il primo movimento, caratterizza anche questo Andante in cui il compositore cerca nella fede, alla quale non riesce o non sa aggrapparsi, una ragione di vita destinata a rivelarsi illusoria. Se nella prima sezione del movimento la fede sembra garantire un momento di serenità, nella seconda l’irruzione del tema del destino, declamato con forza dagli ottoni, ne sancisce lo scacco.

    Per quanto illusoria, la possibilità di una fuga dal destino incombente e terribile sembra l’unica ancora di salvezza per il compositore che nel terzo movimento, Valse (Allegro moderato), si affida alla danza, suo genere musicale preferito, ma ecco che di nuovo il tema del destino, esposto dai clarinetti e dai fagotti, si insinua e turba l’apparente serenità del valzer che, poco incline al sorriso, tende a ricoprirsi di un sia pur tenue velo di tristezza. Quest’apparente serenità, nel quarto movimento, viene definitivamente sopraffatta dal crudele destino con il suo tema che apre e chiude questo Finale dai toni drammatici e, al tempo stesso, rabbiosi. Il doloroso Andante maestoso introduttivo è dominato dal tema del destino che in un drammatico crescendo finisce per coinvolgere tutte le sezioni dell’orchestra, dagli archi ai legni e agli ottoni, assumendo ora toni dolenti con i primi, ora drammatici con gli ultimi. Nel primo tema del successivo Allegro vivace al dramma si unisce la rabbia ben espressa dai violenti accordi strappati degli archi, la cui “ferocia” sembra mitigata dal dolce secondo tema affidato ai legni in un continuo contrasto che caratterizza tutta la sinfonia e conduce alla definitiva vittoria del destino. Tale vittoria è sancita dalla travolgente stretta finale, dove appare il primo tema del primo movimento che, privo di ogni maschera seduttrice e ingannatrice, rivela la sua forza tragica, nonostante il tema del destino avesse precedentemente assunto un’insolita veste in maggiore che sembrava, in modo ingannevole, far intravedere all’ascoltatore una sua possibile sconfitta.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 50'